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LA CONQUISTA DELL'IDENTITÀ:
INTELLIGENZA ED EMOZIONI

Dott.ssa Silvana PANETTA

6 dicembre 2002
Riproduzione parziale dal n. 65 di "Noi Genitori e Figli" del 29/6/2003 di un testo di Mario Pollo.

Disorientati, confusi, senza modelli. Sono numerosi gli adolescenti italiani che si rivolgono a una persona di fiducia - può essere il medico di famiglia, lo psicologo del consultorio, un insegnante particolarmente vicino – per confessare la sensazione di non essere "normali". Di essere attratti, cioè, da individui dello stesso sesso.
Molte famiglie partecipano della stessa angoscia: credono di cogliere delle "stranezze" nel comportamento dei figli maschi, ne sono spaventate e spesso non sanno a chi chiedere consiglio. Anche per rispondere a queste preoccupazioni abbiamo chiesto al pedagogista Mario Pollo di riflettere sull'identità sessuale maschile e sulla sua affermazione.
Qualche tempo fa una ricerca condotta dal consultorio adolescenti dell'Università di Pisa metteva in luce il forte aumento di adolescenti maschi che ponevano agli operatori dei consultori la domanda: "Dottore, sono gay?".
La grande maggioranza di quegli adolescenti ai successivi esami climici non manifestava il possesso di alcuna caratteristica omosessuale. Perché allora si ponevano questa domanda? Quale era l'origine di questo loro dubbio?
L'ipotesi che avanzai in occasione della pubblicazione di quella ricerca per spiegare l'origine del dubbio era che questi adolescenti, probabilmente, non avevano incontrato nel loro percorso di crescita figure significative maschili di identificazione, a cominciare da quella paterna.
Questo perché all'interno della socializzazione primaria, che è il processo attraverso cui l'essere umano costruisce la sua personalità e in cui giocano un ruolo fondamentale i processi di identificazione con la madre e con il padre, oggi si constata o l'assenza del padre o la sua presenza con un ruolo più assimilabile a quello materno che a quello tipicamente paterno. Se a questo si aggiunge che nella scuola, che nella socializzazione svolge un ruolo complementare a quello della famiglia, il bambino incontra quasi esclusivamente figure educative femminili, si comprende il perché un numero sempre maggiore di adolescenti viva una profonda incertezza nella comprensione e nella definizione della propria identità di genere.

L'ECLISSE DEL MASCHILE SIA IN FAMIGLIA SIA NELLA SCUOLA

Si potrebbe quasi parlare, in molti casi, di una sorta di eclisse del maschile sia nei processi educativi familiari che in quelli scolastici. A proposito di questi ultimi si deve, infatti, osservare che non vi sono quasi più maestri maschi e che anche il numero degli insegnanti maschi nella scuole medie inferiori si fa sempre più esiguo.
Un bambino che già vive l'esperienza del padre assente rischia, quindi, di non incontrare mai figure educative maschili. Questo rischio il bambino lo corre anche in altri luoghi educativi, come quelli ecclesiali, dove, ad esempio, i catechisti sono quasi tutti di genere femminile.
La scomparsa del padre e dei suoi sostituti dall'educazione sfocia nelle difficoltà che nell'adolescenza, età in cui si consuma la lotta per la conquista dell'identità, un numero sempre maggiore di maschi incontra nel definire la propria identità di genere.
Molte omosessualità sono il risultato di questa identificazione mancata con il padre, o con un suo sostituto, favorite anche dal fatto che i modelli culturali socialmente dominanti oggi nei Paesi economicamente più sviluppati tendono a favorire, valorizzandole, le unioni affettive e sessuali sterili, con l'affermazione quindi di una sessualità che non ha al centro il dono della vita.

IL PADRE E' TALE SOLO QUANDO ASSUME RESPONSABILITA' VERSO IL FIGLIO

TALVOLTA E' IL MONDO ADULTO AD APPARIRE POCO ATTRAENTE

Per capire l'attuale scarsa significatività degli adulti è necessario ricordare che la prima caratteristica che rende un adulto significativo agli occhi dei ragazzi e degli adolescenti è la sua capacità di essere se stesso al di là degli schemi in cui i ruoli sociali tendono a imprigionarlo. Infatti, l'adulto segue, quasi sempre, la prescrizione di vivere in funzione dei propri ruoli sociali: lavorativi, famigliari, politici, associativi, sessuali, relazionali, ecc. Il suo essere adulto sembra esprimersi esclusivamente nella capacità di essere fedele a questi ruoli. Ruoli che nella sintesi dell'esistenza personale diventano "il" ruolo. La fedeltà ad esso diviene una sorta di programma di vita che vincola le possibili scelte dell'adulto e, paradossalmente, blocca ogni sua possibile ulteriore trasformazione in senso evolutivo. In questo caso "il ruolo" diventa l'unica, o perlomeno dominante, fonte di identità.
All'adulto, che non vuole essere prigioniero della parte che recita, si chiede di liberarsi progressivamente dai condizionamenti e dalle richieste del suo ruolo sociale.

NECESSARIA LA RISCOPERTA DELLA RESPONSABILITÀ EDUCATIVA DEI PADRI

Egli deve cercare, cioè, le ragioni della sua identità nella sua interiorità più intima e profonda e non solo nel suo apparire nella scena sociale. Un adulto capace di vivere questa ricerca di sé è un adulto che, nonostante tutte le sconfìtte e gli insuccessi cui può andare incontro, può essere assunto come modello.
Specialmente se a questa ricerca egli aggiunge la capacità di vivere la propria vita come una storia il cui senso nasce dall'intreccio tra presente, memoria e sogno di futuro e in cui i ragazzi e gli adolescenti si sentono percepiti come futuro gravido di speranza; di confrontarsi con il mistero della morte e di accettare la propria finitudine; di trascendere il piano dell'utilità attraverso i valori e di accettare il mistero e lo scacco del dolore come porta stretta di accesso alla propria crescita umana; di dare attraverso il gioco dei limiti (norme e regole) una forma concreta all'espressione del desiderio delle nuove generazioni.
Da quanto detto emerge chiaramente come una "prevenzione" dell'omosessualità, in particolare di quella maschile, così come una sua terapia, passi attraverso la riscoperta della responsabilità educativa degli adulti maschi e, quindi, dei padri. Una riscoperta capace di far sentire le nuove generazioni depositarie di un dono, che attraverso la generatività, biologica e spirituale, esse devono trasmettere al futuro. Questo signifìca necessariamente anche la riscoperta piena della sessualità come dono di vita.

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Cos'è l'identità di una persona? Riconoscersi ed essere riconoscibili; essere riconoscibili, innanzi tutto, a sé stessi. W. James scriveva nel 1980: "Chiunque di noi destandosi dice: ecco di nuovo il mio vecchio me stesso, ecco il mio vecchio letto, la stessa vecchia stanza,lo stesso vecchio mondo". Già nel ritrovarsi al risveglio, ritornando alla realtà quotidiana dall'oblio del sonno e dal mondo variegato dei sogni, io, per così dire mi ritrovo, ... dunque io sono 'così': ri-eccomi". E inseparabile da un senso di auto-appartenenza, vi è un'auto-definizione, che è anche un'auto-descrizione. Questa auto-descrizione si apre però su un mondo di incertezze come alla domanda, ad esempio: è possibile cambiare identità? ma che, ora qui, possiamo solo fare un accenno.
Già il trascorrere del tempo, e le tappe fisiologiche dell'esistenza ci espongono a questo problema. Ma la letteratura ci propone a numerose ipotesi bizzarre, non meno delle proiezioni basate sulle applicazioni possibili della realtà virtuale. Ma come ovviare al senso di precarietà del senso di identità? La serietà del quesito è confermata dal fatto che tutta la clinica moderna della mente ad indirizzo psicodinamico, erede delle formulazioni storiche di Freud e Jung, da alcuni anni ha posto al centro delle proprie preoccupazioni proprio questa tematica.
La storia della psicoanalisi moderna è caratterizzata da un progressivo spostamento di attenzione della problematica del conflitto a quella della fragilità, che sul piano della valutazione in psicopatologia significa spostare l'attenzione dallo studio della vita psichica normale, che ha per confine la nevrosi a quello molto più critico che è sul confine della psicosi. Il campo in esame va dall' insicurezza ontologica (già formulata da Laing) allo studio delle difese narcisistiche e delle dinamiche dei rapporti di tipo narcisistico. Giovanni Jervisad esempio, avanza questa ipotesi circa la natura umana: tra i bisogni essenziali e primari sia da annoverare anche l'esigenza di costruire e difendere un'immagine di sé, dotata di una solidità minimale, che ci consenta di esistere senza dissolverci.
Poiché, come i romanzieri e gli artisti sanno bene, nulla spaventa di più il subconscio della sensazione di essere assolutamente nessuno, e in questo annullamento dell'identità si lega alla paura di assumere un'identità aliena. Ed è altresì ovvio, secondo questa linea di pensiero, che il maggior senso di precarietà è accentuato dalla cultura della modernità che è soprattutto cultura del disincanto (Max Weber), dell'individualismo e delle opportunità molteplici, che altresì diventa in negativo la cultura dello sradicamento.
Dobbiamo prendere atto che l'intelligenza basata sull'esercizio della pura razionalità costituisce soltanto un aspetto delle più generali capacità che permettono all'uomo di misurarsi con le diverse situazioni incontrate nella vita di tutti i giorni e di risolvere adeguatamente i problemi che esse implicano.
Questo orientamento sembrerebbe essere confermato anche su un piano prettamente neurofisiologico: recenti studi effettuati dal portoghese Antonio Damasio dimostrerebbero che la maggior parte delle nostre scelte e decisioni non sono il risultato di una attenta disamina razionale dei pro e dei contro relativi alle diverse alternative possibili. In molti casi, infatti, le facoltà razionali verrebbero affiancate dall'apparato emotivo, il quale costituirebbe una sorta di "percorso abbreviato", capace di farci raggiungere una conclusione adeguata in tempi utili.
La componente emotiva coinvolta nelle decisioni sarebbe anzi determinante nei casi in cui queste riguardano la nostra persona o coloro che ci sono vicini. A riprova delle sue tesi, Damasio riporta i casi di alcuni pazienti che, in seguito a danni neurologici subiti in determinate zone cerebrali, erano divenuti completamente incapaci di prendere una decisione, pur essendo perfettamente in grado di effettuare una valutazione corretta di tutti i fattori implicati. Occorre perciò introdurre la nozione di intelligenza emotiva che, già descritta da Howard Gardner nelle due forme, intrapersonale e interpersonale, è stata tuttavia sviluppata nei suoi molteplici componenti e conseguenze pratiche da Daniel Goleman, il quale distingue due principali sottocategorie:

Le competenze personali, riferite alla capacità di cogliere i diversi aspetti della propria vita emozionale;
le competenze sociali, relative alla maniera con cui comprendiamo gli altri e ci rapportiamo ad essi.
Il cuore che pulsa, le mani sudate, il respiro affannato, il tremore degli arti che accompagna, ad esempio, sensazioni di intensa paura, sono correlati fisiologici molto evidenti dell'emozione. Infatti l'emozione rappresenta un comportamento di risposta profondamente legato alle motivazioni, che si manifesta a tre diversi livelli:

psicologico
comportamentale
fisiologico
Il primo sistema, detto psicologico, comprende i resoconti verbali relativi all'esperienza soggettiva, come ad esempio: "ho provato una intensa sensazione di rabbia quando ......".
Il secondo sistema, denominato comportamentale, riguarda invece le manifestazioni motorie dell'emozione, come ad esempio il comportamento di evitamento, di avvicinamento, di attacco e la fuga ecc., e le modificazioni dell'atteggiamento posturale e dell'espressione facciale.
Il terzo sistema infine, vi è il livello fisiologico, prevalentemente rappresentato delle modificazioni fisiche: ad esempio negli effettori innervati dal sistema nervoso autonomo, quindi alterazioni della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, dell'irrorazione vascolare facciale (l'arrossire), l'aumento della sudorazione delle mani, o le modificazioni del ritmo respiratorio. Tutte queste variazioni sono connesse con, e anche indotte da, modificazioni di tipo endocrino, per esempio del sistema ipofisi-corticosurrenale (ACTH e cortisolo) o della midollare del surrene (adrenalina e noradrenalina).
Questi tre sistemi interagiscono tra loro pur essendo parzialmente indipendenti. L'emozione, specialmente se intensa, può provocare alterazioni somatiche diffuse: il sistema nervoso centrale influenza le reazioni mimiche (l'espressione del viso), la tensione muscolare; il sistema vegetativo e le ghiandole endocrine, la secrezione di adrenalina, l' accelerazione del ritmo cardiaco e altre risposte.
Comprende la consapevolezza di sé, che ci porta a dare un nome e un senso alle nostre emozioni negative, aiutandoci a comprender le circostanze e le cause che le scatenano; più in generale essa permette una autovalutazione obiettiva delle proprie capacità e dei propri limiti, così da riuscire a proporsi mete realistiche, scegliendo poi le risorse personali più adeguate per raggiungerle. Da quanto detto si comprende come possiamo parlare di intelligenza emotiva personale.
Anche l'autocontrollo fa parte delle competenze personali. Esso implica la capacità di dominare le proprie emozioni, il che non vuol dire negarle o soffocarle, bensì esprimerle in forme socialmente accettabili. L'incapacità di gestire le proprie emozioni, può portare infatti ad agire in maniera inopportuna, e magari a forme di esagerata aggressività nei confronti degli altri, offrendo di sé un'immagine ben poco lusinghiera. Chi è padrone di sé, riesce di solito a comportarsi in maniera appropriata alla situazione, tenendo conto delle regole del vivere sociale, riconoscendo le proprie responsabilità e i propri errori, rispettando gli impegni presi e portando a compimento i compiti assegnatigli.
Tra le competenze personali può essere inoltre collocata la capacità di alimentare la propria motivazione, mantenendola anche di fronte alle difficoltà o quando le cose non vanno come avevamo previsto o speravamo.
La capacità di motivarsi è formata da una giusta dose di ottimismo e dallo spirito di iniziativa, attitudini che spingono a perseguire i propri obiettivi, reagendo attivamente agli insuccessi e alle frustrazioni.
Una delle componenti più importanti di questo aspetto dell'intelligenza è costituita dall'empatia, ossia dalla capacità di riconoscere le emozioni e i sentimenti negli altri, ponendoci idealmente nei loro panni e riuscendo a comprendere i rispettivi punti di vista, gli interessi e le difficoltà interiori. Essere empatici significa percepire il mondo interiore dell'altro come se fosse il nostro, mantenendo tuttavia la consapevolezza della sua alterità rispetto ai nostri punti di vista.
Secondo Goleman, l'intelligenza emotiva si può sviluppare attraverso un adeguato allenamento, diretto soprattutto a cogliere i sentimenti e le emozioni, nostri e altrui, indirizzandoli in senso costruttivo. Se, infatti, l'intelligenza legata al QI tende a stabilizzarsi intorno ai 16 anni (per incominciare lentamente a declinare negli anni della maturità), l'intelligenza emotiva può essere migliorata nel corso di tutta la vita.

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