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PROBLEMI ATTUALI DELLA MEDICINA GENETICA: LE CELLULE STAMINALI

Prof. Giovanni RUSSO

14 marzo 2003
Desidero ringraziare Monsignor Josia e Don Mario Pio ai quali devo riconoscere una facoltà precognitiva per avermi suggerito un argomento del quale anche io, fino a poco tempo fa, non conoscevo l'attualità e l'importanza.
È un argomento che ha avuto negli ultimi tempi un incredibile sviluppo con un andamento da "motus in fine velocior" per l'apporto di nuove, continue acquisizioni che hanno aperto orizzonti sconfinati, talora preoccupanti, in tutti i campi della biologia e della medicina.
La genetica è il capitolo delle scienze naturali che studia l'origine e lo sviluppo di tutti gli esseri viventi, dagli organismi più semplici, virus e batteri, fino all'homo sapiens. Solo i prioni, responsabili dell'encefalopatia spongiforme bovina e della malattia di Kreutzfeld-Jacob umana, non posseggono materiale genetico e si sviluppano a spese di quello dell'organismo parassitato.
Genoma: è la parte del nucleo cellulare deputata alla riproduzione cellulare ed è specifico per ogni organismo tanto che la sua ricostruzione da parte di minime tracce ha assunto grande importanza in medicina legale perché consente di ottenere il codice genetico di ciascun individuo. Solo i gemelli monocoriali hanno lo stesso genoma perché derivano dalla stessa cellula uovo. Per meglio comprendere le attuali cognizioni, in continua evoluzione è bene seguire un "excursus historicus" per conoscere le varie tappe dello sviluppo scientifico.

  • 1856 Johann Mendel (Frà Gregorio) un umile frate agostiniano boemo, coltivando due qualità di piselli si accorse, con geniale intuizione, che le due specie di legumi si riproducevano secondo regole precise manifestando a seconda dei casi il genotipo o il fenotipo ed enunciò le leggi di Mendel che regolano la riproduzione di tutti gli esseri viventi sia vegetali che animali secondo il principio dell'ereditarietà.
  • 1859 Johann Franciscus Miescher medico dell'Università di Basilea, divenuto sordo per un'infezione agli orecchi, si dedicò allo studio dei cadaveri. Facendo bollire il pus degli ascessi riuscì ad isolare una componente del nucleo cellulare che chiamò acido nucleico che in seguito verrà identificata col DNA.
  • 1946 Herman Joseph Muller (premio Nobel) con lo studio sulla Drosophyla Melanogaster (moscerino dell'aceto) evidenziò i cromosomi e potè descrivere la mappa cromosomica umana composta di 46 elementi di cui ventitrè di derivazione materna ed altrettanti di derivazione paterna. Ebbe una vivace polemica con l'accademico russo Lysenko che in nome del progressismo socialista negava la trasmissione ereditaria dei caratteri genotipici.
  • 1953 Crick (inglese) e Watson (americano), premi Nobel del 1962, dimostrarono, con la diffrazione ai raggi X, che la cromatina del nucleo ha una configurazione a doppia elica con ponti di giunzione e forma come un gomitolo che sciolto sarebbe lungo qualche metro. Inoltre con gli enzimi di restrizione hanno dimostrato che ogni cromosoma è composto di molti geni ciascuno con una sua specifica attribuzione.
  • 1959 Ochoa e Komber ricevono il premio Nobel per la sintesi chimica degli acidi nucleici (DNA - RNA).
  • 1982 Inizia il periodo dell'ingegneria genetica che con il metodo del DNA ricombinante consente di produrre organismi e principi attivi geneticamente modificati. Tale metodo, che ha suscitato tante preoccupazioni per gli eventuali pericoli correlati ad alimenti prodotti con mezzi artificiali, ha altresì consentito di ottenere per biosintesi farmaci preziosi che hanno la stessa costituzione genetica di quelli prodotti dall'organismo umano. 
    Basti pensare all'insulina per la cura del diabete di tipo I o diabete giovanile insulino dipendente che attualmente è tutta di tipo umano mentre in passato era di origine animale e meno efficace. Lo stesso si può dire per l'eritropoietina che consente di curare l'anemia degli emodializzati, una volta costretti a continue trasfuzioni di sangue. Lo stesso vale per l'ormone della crescita (Growth hormone, GH) che in passato veniva estratto dalle ipofisi di cadaveri ed aveva provocato alcuni casi di Kreutzfeld-Jacob nei bambini trattati in Francia.
  • 1985 Ralf e Prinstar iniziano la produzione di animali transgenici (maiali, scimmie) i cui organi possono essere utilizzati per i trapianti umani. Anche illustri teologi (Cencelli) sono favorevoli a tale metodo.
  • 1993 Kary e Mullis ricevono il premio Nobel perché riescono a ricreare da piccoli frammenti di cromatina, il quadro completo del genoma. Tale metodo che prende il nome di polymerase chain reaction viene usato per la tipizzazione dei virus (ad esempio quello dell'epatite C – ACV) ed ha trovato ampia diffusione in tutto il mondo in medicina legale come test genetico per risalire da minime tracce di sostanze biologiche (sangue, pelle, saliva) alla persona che le ha lasciate. Da pochi giorni è stato utilizzato per tipizzare il coronavirus responsabile della Sars (Sindrome Respiratoria Acuta di origine cinese).
  • 1996 Clonazione in Gran bretagna della pecora Dolly.
  • 2001 Francis Collins e Graig Venter dopo anni di studio con l'uso di sofisticati computer ed in competizione tra di loro, annunciano la completa decodificazione del genoma umano aprendo così il campo allo studio della componente genetica delle malattie.
  • 2003 Nel mese di gennaio viene diffuso l'annuncio della clonazione umana da parte della setta raeliana fondata dal francese Claude Vorilhon. A prescindere dalla scarsa attendibilità della notizia, tale pratica viene unanimamente condannata dalla comunità scientifica di tutto il mondo.

Malattie di origine cromosomica: prima delle attuali recentissime conoscenze, già da molti anni erano note alcune importanti malattie ereditarie genetiche, trasmesse secondo le leggi di Mendel. Possiamo ricordare le più conosciute con la fondata prospettiva che potranno essere curate in futuro mediante la terapia genica.
Emofilia. Tipica malattia ereditaria che si trasmette con una particolare caratteristica: colpisce solo i maschi, trasmessa da una madre apparentemente sana (diaginica perandrica) è nota anche per aver colpito famiglie reali come quella dell'ultimo zar della Russia, nella persona del giovanissimo Zarevic.
Esiste un giallo dinastico perché non si riesce a spiegare come gli antenati della regina Vittoria d'Inghilterra fossero esenti dalla malattia, mentre i suoi discendenti ne furono colpiti. Di recente sono uscite delle pubblicazioni molto documentate in Inghilterra che cercano di chiarire l'arcano.
Anemia mediterranea o talassemia: così chiamata perché colpisce gli abitanti del bacino del Mediterraneo e nella fattispecie l'Italia. Si manifesta in modo diverso a seconda che uno solo o entrambi i genitori siano portatori del gene talassemico. Le forme più lievi (o eterozigote) prendono il nome di malattia di Rietti-Greppi-Micheli e malattia di Silvestroni-Bianco.
La forma più grave (o omozigote con entrambi i genitori portatori di geni patologici) prende il nome di morbo di Cooley dal medico americano che la descrisse alla fine dell'Ottocento. Può sembrare strano che una malattia mediterranea sia stata scoperta in America ma il motivo è molto semplice: Cooley era il medico della dogana di New York che si trovava a "Ellis Island" sotto la statua della Libertà ed aveva il compito di respingere alla visita medica gli immigrati che non erano in buone condizioni di salute. Non essendo un esperto di ematologia considerò tali malati come affetti da leucemia perché avevano in comune la grave anemia e l'epatospenomegalia. Oggi Ellis Island è trasformata in museo e si possono visitare i locali dove sono passati i nostri antenati e si conserva il registro con i nomi di coloro che sono stati rimpatriati per tale malattia.
Attualmente in Italia il morbo di Cooley è stato studiato ed inquadrato magistralmente da una cara e brava collega d'università, la professoressa Bianco, che con pochissimi collaboratori e scarsi mezzi è riuscita a diagnosticare la malattia in tutti gli studenti del Lazio ed ha creato un centro per la lotta alle talassemie (di cui vi sono vari tipi anche in altre parti del mondo) che costituisce un modello di efficienza e di disponibilità anche nei confronti di malati stranieri. Sono convinto che meriterebbe il premio Nobel più di tanti altri scienziati, ampiamente pubblicizzati.
Trisomie cromosomiche: con questo nome si comprendono alcune gravi anomalie genetiche dovute al fatto che durante la formazione dei gameti o cellule sessuali, la meiosi o riduzione a metà del numero dei cromosomi per consentire la fusione delle cellule materna e paterna, uno degli elementi rimane indiviso per cui nell'embrione risulterà un cromosoma formato da tre elementi anziché due. La più nota è la trisomia del cromosoma 21 materno che provoca la sindrome di Down, una volta chiamata mongolismo. Per poter fare la diagnosi prenatale si ricorre, molto spesso, all'amniocentesi cioè alla puntura del sacco amniotico allo scopo di studiare i cromosomi dell'embrione. Tale pratica, non scevra di pericoli e di danni per il nascituro, oggi può essere sostituita dalla ecotomografia, tecnica incruenta, che consente di riconoscere eventuali anomalie embrionali.
Trisomie dei cromosomi del sesso: il sesso è definito geneticamente da due piccoli cromosomi che si chiamano XX nella donna ed XY nell'uomo. Anche in questo campo esistono trisomie che provocano particolari anomalie:

  • Sindrome di Klinefelter o trisoma XXY: si tratta per lo più di maschi molto belli un po' effemminati che sono normali in tutto anche nei rapporti intimi ma purtroppo sono irreversibilmente sterili.
  • Più grave la sindrome femminile XXX che riguarda donne che oltre alla sterilità presentano ritardo complessivo dello sviluppo.
  • La sindrome XYY o trisomia maschile sembra collegata ad alterazioni caratteriali e comportamentali.

Altro fenomeno patologico è quello della traslocazione o traslazione per cui un frammento di un cromosoma si va ad inserire in un altro della stessa cellula. È il caso del cromosoma Philadelphia caratteristico della leucemia mieloide cronica. Fenomeni di traslazione si trovano anche in alcune malattie neoplastiche come i linfomi non Hodgkin di cui è stato riferito in un recente congresso medico. Infine alcuni tipi di inquinamento come quello dell'Enichem di Priolo (Siracusa) possono provocare alterazione del genoma con nascita di bambini che pagano un alto tributo alle malattie degenerative e neoplastiche.
La recentissima completa decodificazione del genoma umano apre enormi prospettive di sviluppo scientifico sia in campo teorico che in campo preventivo e terapeutico. Le ricerche, già iniziate in tutto il mondo con grande fervore, mirano ad ottenere alcuni risultati che si possono così accennare senza trascurare di fare una chiara distinzione tra realtà operativa e fantascienza per non creare false aspettative in alcune categorie di malati. Come dice il prof. Boncinelli "la scienza seria non è spettacolo e l'informazione scientifica dovrebbe essere più oculata e prudente".

  • Isolamento dei singoli geni o di gruppi di geni responsabili delle varie malattie. Quando negli anni '50 il prof. Luigi Gedda creò all'Università La Sapienza il primo Istituto di genetica medica d'Italia fu considerato da molti come uno studioso di scienza astratta senza aggancio con la realtà. Sono tornato di recente nell'Istituto per la commemorazione del fondatore ed ho trovato una fucina di ricerche d'avanguardia ed il prof. Dalla Piccola, attuale titolare, ci ha annunziato tra l'altro di aver localizzato il gene responsabile del morbo di Parkinson, da cui potranno derivare grandi possibilità operative per la cura della malattia. Dalla Francia il gruppo Genoscope ha segnalato la presenza sul cromosoma 14 del gene della forma familiare del morbo di Alzheimer.
  • Genomica funzionale: consiste nello studio del DNA per svelare la predisposizione alle malattie familiari ed in particolare ai tumori.
  • Correzione dei geni responsabili di malattie con impianto di geni sani attraverso l'introduzione di cellule staminali.

CELLULE STAMINALI

Come appena accennato, si vanno profilando nuovi interessanti legami tra le anomalie genetiche e le cellule staminali. Ma cosa sono le cellule staminali? Negli anni cinquanta (1950) due studiosi italiani di Pavia, i professori Ferrata e Storti, pubblicarono, un ponderoso trattato di ematologia nel quale sostennero per primi l'esistenza di cellule primarie, progenitrici degli altri stipiti cellulari, indifferenziate e pluripotenti che chiamarono cellule staminali o istioblasti. La loro teoria suscitò molte riserve nel mondo scientifico internazionale perché mancavano i dati sperimentali di riscontro o "evidences".
In Italia fu accolta con entusiamo da noi giovani medici perché apriva la strada ai trapianti di midollo. Ma, come scrive in un recente articolo il prof. Fremiotti, creatore col prof. Pratesi del Centro Ematologico del S. Giovanni, era un modo di "jurare in verbo magistri". Col tempo però, come talora succede, dagli ambienti più critici è venuta la conferma.
Nel 1961 Till e Barbara Mac Clintock, due studiosi americani, premi Nobel per la medicina nel 1966, eseguirono un esperimento fondamentale, destinato a modificare tutte le cognizioni allora vigenti in merito all'origine delle cellule midollari. Sottoposero due topolini ad una dose massiva di radiazioni ionizzanti in modo da distruggere completamente la matrice midollare. Uno solo fu sottoposto a trapianto con midollo parentale e si vide che non solo era in grado di sopravvivere ma che si formavano tante piccole colonie di cellule progenitrici capaci poi di differenziarsi, a seconda della sede di sviluppo in colonie di globuli rossi (CFR-Burst) globuli bianchi (CFU-Genn) e piastrine. Venivano così dimostrati due assunti basilari: l'origine comune delle varie cellule dagli elementi staminali e la loro differenziazione ambientale, possibilità che costituirà in seguito la punta di diamante nell'utilizzazione delle cellule staminali allorché si potè verificare che gli stessi risultati erano ottenibili anche nell'uomo.
Dal punto di vista morfologico le cellule staminali sono piccoli elementi simil-linfocitari del diametro circa 10 micron e si distinguono dai comuni linfociti perché portano un antigene di superficie cd 34 detto cluster di differenziazione una specie di marchio d'origine che si mette in evidenza con antigeni monoclonali fluorescenti mediante un apparecchio detto "citofluorimetro" che agisce con un meccanismo di immunofenotipizzazione a fluorescenza. Possono essere isolate dal sangue midollare e dal sangue periferico con un separatore cellulare a gradiente di sedimentazione che consente di ottenere una raccolta selezionata di elementi staminali. Tali elementi, una volta trapiantati, non solo evolvono nelle varie fasi di maturazione ma sono capaci anche di riprodurre cellule indifferenziate conservando così la capacità di proliferazione per automantenimento. Per favorirne lo sviluppo si usano fattori di crescita tissutale ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante, come vedremo meglio in seguito. Data la frequenza sempre crescente di utilizzazione delle cellule staminali sorge il problema di come ottenerle in modo atto a soddisfare tutte le molteplici esigenze. Sui metodi adoperati per ottenere le cellule staminali è necessario portare qualche elemento di chiarezza nell'ambito di opinioni talora contrastanti che danno luogo a polemiche spesso pretestuose atte a creare questioni ideologiche e dottrinali.

  • La prima possibilità consiste nell'utilizzare gli embioni congelati non più usati per le teniche di fecondazione in vitro. Si tratta di embrioni allo stadio di blastocisti formati da circa 200-300 cellule. Tale metodo, accettato in Gran Bretagna, è rifiutato da tutti gli altri paesi, compresi gli USA, perché sfrutta organismi potenzialmente vitali e pertanto non è moralmente accettabile. Il prof. Veronesi sostiene, a titolo personale, che si può scegliere il male minore e che è meglio utilizzare tali piccoli embrioni per aiutare i malati piuttosto che procedere alla loro inevitabile distruzione.
  • La seconda possibilità prende il nome di metodo italiano perché è stato proposto dalla Commissione Dulbecco, nominata dal Ministero della Sanità. Tale metodo consiste nell'utilizzazione di un ovulo femminile che viene enucleato e sottoposto all'innesto del nucleo di una cellula somatica cutanea o mucosa. Col nuovo nucleo inserito artificialmente, la cellula è in grado di svilupparsi e di riprodurre gli elementi staminali. Anche questo metodo è eticamente discutibile perché la tecnica è la stessa che si adopera per la clonazione artificiale.
  • Utilizzazione del sangue della placenta e del cordone ombelicale, che è ricco di cellule che provengono da donne in genere giovani e sane che hanno appena partorito e che offrono quindi ottime garanzie di efficacia terapeutica, come le cellule embrionali. L'unico problema consiste nel fatto che la raccolta è un po' indaginosa, perché presuppone la collaborazione di tutti i reparti di ostetricia e ginecologia, cosa che in realtà ancora non avviene.
  • Tecnica che prende il nome dall'acronimo T.M.S.A, ancora in fase sperimentale, prevede il trasferimento di un nucleo di cellula somatica, non embrionale, in un citoplasma artificiale che verrebbe a sostituire l'ovocita e consentirebbe il normale sviluppo degli elementi staminali, con esclusione di qualsiasi riserva etica.
  • Molto promettente è un metodo rivoluzionario scoperto casualmente da una ricercatrice araba che lavora a Londra al King's College, la dottoressa Ilham Abuliada-Yal. La studiosa, mentre si occupava della normale coltura di cellule mature in vitro, si è accorta che, in particolari condizioni ambientali, con l'aggiunta per errore di alcune sostanze, si poteva ottenere la regressione delle cellule adulte in cellule staminali. Tale metodo, confermato dai controlli eseguiti presso la Royal London-Hospital Medical School, consentirebbe di mettere a disposizione della biologia e della medicina una fonte controllata ed inesauribile di cellule staminali senza alcuna implicazione di ordine umano e morale. Peccato che il metodo sia stato già brevettato a scopo lucrativo!
  • Studi recentissimi americani, del 2003, eseguiti da Thomas Zwaka e James Thomson hanno consentito di ottenere in coltura una linea di cellule staminali capaci di riprodursi indefinitamente senza ricorrere ad elementi embrionali, ma ancora non si è arrivati alla fase operativa di utilizzazione.

PROTOCOLLI TERAPEUTICI GIÀ IN CORSO DI APPLICAZIONE O SPERIMENTAZIONE

Trapianto di midollo osseo

I primi tentativi di trapianto di midollo osseo eterologo da donatore furono eseguiti presso l'Istituto di Medicina del Lavoro dell'Università di Roma "La Sapienza" negli anni cinquanta (Paterni-Germini-Russo con l'avallo del prof. Mathé di Parigi) per combattere l'anemia aplastica da benzolismo che colpiva alcune categorie di operai. Purtroppo in quell'epoca non si conosceva ancora la reazione da rigetto provocata dagli antigeni di istocompatibilità e dopo un lieve miglioramento si ebbe la comparsa di anomalie preleucemiche (sindrome di Pelger-Huet) con esito infausto.
Solo vent'anni dopo, con lo studio del sistema di istocompatibilità maggiore (H.L.A.), fu possibile procedere ai primi trapianti sempre eterologhi, istocompatibili senza provocare la terribile reazione da rigetto (Graft Versus Host Disease).
Oggi il trapianto eterologo è limitato a quei casi in cui il midollo osseo è completamente compromesso e non è più in grado di fornire cellule staminali. Come avviene nelle anemie aplastiche, nel morbo di Cooley, nel plasmocitoma ed in alcune forme avanzate di leucemie. I donatori, preferibilmente genitori o fratelli, vengono preparati con fattori di crescita umani ricombinanti per arricchire il loro midollo di cellule staminali. Tali fattori ottenuti per via biosintetica, sono in grado di stimolare l'attività proliferativa del midollo anche nelle persone che sono state sottoposte a radio e chemioterapia per tumori. I più noti sono filgrastim, lenograstim e molgramostim e, pur essendo molto cari, vengono forniti dal s.s.n. Il ricevente viene sottoposto a panirradiazione per eliminare tutti i focolai di cellule malate, viene trasfuso col midollo del donatore e deve restare a lungo nella camera sterile, perché è completamente privo di potere immunitario di difesa, finché non si sviluppano le colonie di cellule trasfuse che ripopolano il midollo e divengono capaci di svolgere la loro funzione protettiva.

Trapianto autologo

In questo caso le cellule staminali non sono fornite da un donatore, ma è il malato stesso che, dopo arricchimento con i fattori di crescita sopra citati, viene sottoposto a filtrazione del sangue con "il separatore a gradiente di sedimentazione" che seleziona le cellule staminali.
Queste ultime verranno poi ritrasfuse dopo panirradiazione o panchemio terapia. Sempre indispensabile è la degenza in camera sterile con risultati che, specie nei bambini, sono spesso molto favorevoli quando si ricostituisce la normale popolazione di cellule sane.

Terapia genica delle malattie sistemiche

Si tratta di una tecnica avveniristica, ancora in fase sperimentale. In Italia è stata attuata per la prima volta presso l'Istituto S. Raffaele di Milano, creato per iniziativa di un attivissimo prelato, Don Verzè, e che ormai è conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo come centro d'avanguardia per ricerche e sperimentazione in campo medico-biologico. Con una tecnica esclusiva gli scienziati del San Raffaele, diretti da Claudio Bordignon e Maria Grazia Roncarolo, hanno trattato con la terapia genica quattro bambini, di cui una araba (Medicina senza frontiere) gravemente malati perché affetti da una rara malattia, sempre ad esito infausto, caratterizzata dalla completa deficienza congenita dei poteri di difesa immunitaria contro le malattie infettive per cui i bambini sono costretti a vivere in una camera sterile per il pericolo di inquinamento da agenti patogeni (Child Immunodeficiency Syndrome). Gli studiosi sono ricorsi all'uso di vettori retrovirali per trasferire i geni curativi nelle cellule staminali emopoietiche che, una volta trasfuse, si sono sviluppate regolarmente, assicurando così la guarigione dalla malattia. Questo metodo apre un nuovo capitolo, quello dei retrovirus disattivati per inserire i geni guaritori nelle cellule "malate" ed è già usato in altri studi in corso. Un analogo esperimento, eseguito presso un centro francese di terapia genica, ha dovuto essere interrotto per la comparsa di due casi di simil-leucemia nei soggetti trattati.
Un autorevole riconoscimento è arrivato dalla "food and drug administration", l'ente preposto al controllo dei nuovi farmaci e delle nuove tecniche terapeutiche, che ha riconosciuto il metodo italiano come il più idoneo ed efficace nella teparia genica e ne ha autorizzato la diffusione a livello mondiale. La stessa sperimentazione è stata eseguita dal prof. Piermannuccio Mannucci dell'Università statale di Milano che è riuscito ad inserire il gene per la produzione dei fattori antiemofilici VIII e IX nelle cellule staminali coltivate o direttamente del malato stesso, la cui carenza provoca l'emofilia. Finora gli emofiliaci, che in Italia sono più di 5.000 si curavano con la trasfusione periodica dei fattori plasmatici mancanti; ma questa prassi, oltre ad imporre continuo ricorso alla terapia infusionale sostitutiva, in alcuni casi ha provocato infezioni da epatite B e epatite C e da Aids. Il Ministero della Salute in questa triste evenienza ha riconosciuto per i colpiti un equo indennizzo, che purtroppo non risarcirà mai il malato o la famiglia per il danno subìto.

Terapia genica dei tumori

si può agire con due meccanismi. Da una parte si può favorire con gli opportuni geni l'apoptosi cioè la distruzione da parte dell'organismo delle cellule neoplastiche, dall'altra si può innestare il gene che regola lo sviluppo armonico dei tessuti bloccando la ploriferazione incontrollata degli elementi che costituiscono le neoplasie (ricombinazione omologa). I geni curativi vengono veicolati ed inseriti nelle cellule bersaglio da particolari vettori retro-virali altamente aggressivi ma resi del tutto innocui, compreso il virus dell'Aids!

Correzione dei geni che provocano il rigetto

Un recente studio (2003) dell'Università di Madison (Wisconsin) ha ulteriormente sviluppato il metodo di ricombinazione omologa dei geni e consente di togliere o inserire i geni delle cellule staminali. È possibile quindi, sia inserire uno o più geni al posto di quelli malati, sia modificare quelli la cui funzione si vuole ridurre o eliminare. Così si potrà per esempio intervenire anche sui geni che controllano la reazione di rigetto dopo i trapianti di organo che oggi si previene con l'uso continuo di farmaci mal sopportati (cortisonici, ciclosporina, azatioprina) e si potranno eseguire i trapianti senza dover poi attuare per tutta la vita a terapia immunosoppressiva.

Medicina rigenerativa o riparatrice

È possibile l'inserimento di geni curativi direttamente nelle cellule staminali che erano state in precedenza opportunamente condizionate a produrre tessuti altamente differenziati come cervello, midollo spinale, cuore, pancreas, miocardio, favorendo così la rigenerazione dell'organo malato, senza la necessità di eseguire il trapianto sostitutivo (medicina rigenerativa o riparatrice).
Tutto ciò è reso possibile dal fenomeno della transdifferenziazione studiato dall'immunologo Girolamo Sirchia e dal biologo molecolare di Trieste Edoardo Boncinelli, direttore della scuola internazionale superiore di studi avanzati. I due studiosi hanno dimostrato che in particolari condizioni microambientali le cellule staminali autologhe crioconservate sono in grado di riprodurre tessuti diversi anche molto differenziati, tenendo presente che nell'organismo umano sono presenti 220 tipi di cellule. Queste cellule transdifferenziate si possono utilizzare per riparare organi malati come il cervello ed il cuore e le prime esperienze eseguite in Germania sembrano aver dato esito favorevole. Ma immaginiamo cosa potrebbe succedere se, mediante le cellule staminali, si riuscisse a riattivare le cellule delle isole di Langherans del pancreas ed a liberare i diabetici dalla schiavitù di praticare due o tre iniezioni al giorno di insulina, specie nel diabete giovanile che può colpire anche bambini di pochi anni! Gli esperimenti eseguiti sul topo reso diabetico hanno consentito la guarigione della malattia mediante transfer del gene che codifica la produzione di I.G.F. 1 (Insulin like Growth Factor). Si prevede, entro breve tempo, di passare alla sperimentazione di tale nuovo metodo anche sull'uomo perché finora tutti i tentativi eseguiti di trapiantare i tessuti pancreatici sono risultati vani per la estrema labilità delle isole insulino secernenti.

CONCLUSIONI

Dopo questa sintetica carrellata su tutti i possibili sviluppi e le future applicazioni della terapia genica, sorge spontanea una domanda: si tratta di fantascienza o di realtà? Gli studiosi seri dovranno distinguere tra le prospettive di terapie proficue per il bene dell'umanità e le aspirazioni fatue e fuorvianti di alcuni fanatici che propongono la clonazione umana o di programmare il colore azzurro degli occhi di un nascituro! Sarà necessario un grande impegno morale da parte di tutti gli operatori di sperimentazioni in campo bio-medico per privilegiare quelle tecniche che siano di reale vantaggio per lo sviluppo sano ed armonico dell'uomo e siano estensibili anche laddove le condizioni socio-economiche ancora non lo consentono. Una ottimistica conferma a questa auspicabile previsione viene da una informazione che prevede una via italiana, senza compromessi etici, per lo studio e la utilizzazione delle cellule staminali.
Su un recentissimo numero (febbraio 2003) di una rivista scientifica viene riferito che presso l'Università Cattolica Policlinico Gemelli di Roma è già operativa la Banca delle cellule staminali che vengono prelevate esclusivamente dal cordone ombellicale e dalla placenta umani o dal sangue periferico e dal midollo dei donatori.
Le cellule dopo il prelievo possono essere preservate e congelate per un periodo di tempo indefinito conservando la loro capacità di autoreplicazione e differenziazione.
Potranno essere utilizzate per trapianti autologi od allogenici, o addirittura saranno capaci di dare origine a qualsiasi tipo di tessuto sostituendo le cellule danneggiate con nuove cellule sane. Potranno aiutare a curare malattie di grande impatto sociale, quali la leucemia, l'infarto del miocardio, le patologie metaboliche (diabete), le malattie vascolari o degenerative del sistema nervoso centrale e del midollo spinale. In campo ginecologico troveranno applicazione nella cura di alcuni tumori e si sta studiando la possibilità di trapiantare cellule staminali durante la vita prenatale endouterina per correggere alcune malattie congenite come le talassemie (morbo di Cooley) così frequenti nel bacino del Mediterraneo.

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