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QUALITÀ DI VITA E STATO DI SALUTE NELL'ANZIANO OSTEOARTROSICO

Prof. Quinzio GRANATA

28 marzo 2003
L'artrosi è una malattia articolare degenerativa, cronica e progressiva. È la malattia più diffusa e colpisce entrambi i sessi: ne soffrono oltre quattro milioni di persone. L'artrosi colpisce la maggior parte delle persone anziane, ma non ne sono risparmiati i più giovani, tanto che questa malattia risulta essere la principale causa di perdita di giornate lavorative; rappresenta il 73% delle affezioni reumatologiche.
La frequenza dell'osteoartrosi, infatti, aumenta progressivamente con l'avanzare dell'età: tale incremento è progressivo fino ai 55-60 anni. Al di sopra dei 65 anni circa il 78% degli uomini e 1'87% delle donne presentano lesioni radiologiche tipiche della malattia. In rapporto all'età variano anche le sedi e il numero di articolazioni colpite.
A fronte di questi dati epidemiologici si può pertanto dire che 1'osteoartrosi è una patologia tipicamente geriatrica, la sua incidenza è età correlata e nei paesi industrializzati si colloca al primo posto tra le patologie degenerative.
Le articolazioni più frequentemente interessate sono: la colonna vertebrale, l'anca, il ginocchio, le dita delle mani e dei piedi.
L'artrosi può essere classificata in una forma primaria, spesso diffusa a molteplici articolazioni e in una forma secondaria, più frequentemente localizzata.
L'artrosi primaria riconosce terreno genetico predisponente e non è infrequente osservarla in più soggetti appartenenti alla medesima famiglia. L'artrosi secondaria può colpire anche soggetti giovani ed è legata, ad esempio, a traumi, obesità, malformazioni degli arti inferiori, attività lavorativa (uso di sistemi vibranti, manovre ripetitive sotto carico in posizioni fisiologiche), artriti.
Il sintomo più frequente lamentato dal malato con artrosi è il dolore (Scala 1-10). Questo si accentua con il movimento e si riduce con il riposo. Raramente insorge durante il sonno, a meno che sia concomitante un processo infiammatorio. Con il progredire della malattia può essere presente anche a riposo e accompagnarsi alla sensazione di rigidità mattutina, generalmente di breve durata.
Quando la degenerazione dell'articolazione è evoluta il malato presenta limitazione funzionale, più o meno invalidante a seconda delle sedi articolari coinvolte.
Le articolazioni portanti artrosiche, per esempio anca e ginocchio, possono ostacolare il cammino; l'artrosi delle mani può compromettere la destrezza e la forza necessarie per gli atti quotidiani; l'artrosi della colonna può associarsi ad alterazioni dei dischi vertebrali con patologia compressiva sulle radici dei nervi e quindi dolore parestesico lungo gli arti (rachialgia, sciatalgia, cruralgia).
Spesso sono presenti deformazioni (molto evidenti alle mani), con noduli a livello delle articolazioni interfalangee distali e prossimali con deviazione dell'asse.
Una variante temibile che può colpire donne in età premenopausale è l'artrosi erosiva: in questa variante, diagnosticabile radiograficamente, possono essere persi completamente i normali rapporti articolari, come nell'artrite reumatoide o nell'artrite psoriasica, e nella rizoatrosi delle mani con grave compromissione della funzione.
Nonostante non sia stato verificato un nesso tra condizioni climatiche e artrosi, il malato riferisce spesso che il dolore può accentuarsi durante i cambiamenti climatici, con l'umidità, con il vento, oppure quando si passa da un ambiente caldo ad uno freddo.
La particolare intensità del dolore e la sua persistenza, unitamente ai deficit funzionali, rendono, nel tempo, difficile il mantenimento di una vita sociale, costringendo progressivamente il soggetto all'isolamento con le ben note conseguenze a carico della sfera psicologica e affettiva.
Pertanto, una patologia inizialmente distrettuale può avere ricadute tali da incidere negativamente sulla qualità di vita dei soggetti, specie se anziani. Per questi ultimi non va inoltre sottovalutato come l'alterazione della statica e dell'andatura, conseguente al dolore e all'impedimento funzionale artrosico, espongano il paziente ad una accentuazione del rischio di caduta che rappresenta il maggior determinante delle fratture d'anca e vertebrali, cui si associano un aumento di altre malattie e perdita della autonomia. Com'è noto la disabilità è correlata all'età e più diffusa nel sesso femminile.
In Italia secondo i dati ISTAT del 1998 il 21 % della popolazione ultrasessantacinquenne risultava disabile; negli Stati Uniti nel 1985 la percentuale dei disabili nella popolazione anziana era stimata al 15%; nel 2060 si calcola che raggiungerà il 30%. Questo comporterà la necessità di istituzionalizzare un maggior numero di pazienti ( dal 4 al 7% della popolazione anziana).
Disabilità non è sinonimo di patologia cronica, ma né comunque può rappresentare una logica e a volte imprenscindibile conclusione. Dall'incidenza delle patologie osteoarticolari l'artrosi risulta essere la malattia cronica più diffusa nel mondo.
Va sottolineato come tali patologie, prima ancora di determinare l'instaurarsi di disabilità permanenti, incidano sulla qualità della vita del paziente attraverso il dolore. Ma anche analizzando la perdita di autonomia e 1' instaurarsi di una disabilità preesistente in una fascia di popolazione particolare quale quella dei grandi vecchi, l'importanza delle patologie osteoarticolari risulta evidente. Da non trascurare questi dati molto evidenti: dai 45 -65 anni il 25,3%, dai 65 -75 anni il 43,7% e dopo i 75 anni il 55,4% della popolazione che vive a casa è colpita da malattie osteoarticolari.
Da quanto detto, l'incidenza di questa patologie è più elevata rispetto a tutte le malattie croniche quali l'ipertensione, la cataratta, l'ipoacusia, la cardiovasculopatia, e il diabete, tanto che si ritiene 1'osteoartrosi come una sorta di fisiologico end point, punto terminale, connesso con la senescenza. Comunque, è proprio l'associazione di dolore, limitazione funzionale, depressione del tono dell'umore, che determina l'instaurarsi di un circolo vizioso che può sfociare nella totale perdita dell'autonomia e dell'autosufficienza con la creazione di un disabile grave e permanente con ripercussione sanitarie, sociali ed economiche sull'intera società.
Il controllo del sintomo dolore è sicuramente l'elemento cardine su cui deve basarsi una corretta strategia preventiva e terapeutica. Se il trattamento del dolore rappresenta un momento imprenscindibile per ottenere una soddisfacente qualità di vita è indubbio che altri fattori di carattere generale svolgano un importante ruolo, a tal punto che si può affermare che il ritmo e la qualità di invecchiamento, con le sue conseguenze funzionali, dipendano o comunque vengano influenzate dallo stile di vita, da fattori ambientali e dall'efficienza e disponibilità dei servizi sanitari. Molto sinteticamente si può ricordare il ruolo negativo di alcol e fumo: si è evidenziato in questi fattori livelli più bassi di forza muscolare e di densità ossea, nonché un più rapido invecchiamento, nei fumatori e in coloro che abusano di sostanze alcoliche.
Al contrario, una efficace prevenzione si ottiene con una costante regolare attività fisica che si attui attraverso un carico ponderale congruo sulle strutture scheletriche.
È del resto noto che l'effetto stimolante dell'esercizio fisico e del carico ponderale sulla densità ossea e resistenza dello scheletro si esplichi in ogni fase della vita.
Il mantenimento di un peso corporeo congruo, una corretta alimentazione, ed un adeguato apporto di calcio e vitamina D, rappresentano un altro fattore imprescindibile in una corretta strategia preventiva.
Questa rapida disamina dei rapporti tra osteoartrosi, disabilità, e qualità della vita non può prescindere da una analisi del ruolo e dell'efficacia della terapia riabilitativa.
Il primo scopo è sicuramente quello di contrastare la tendenza all'immobilità evocata dalla perdita della massa muscolare, della forza e dell'isolamento sociale susseguente alle difficoltà motorie.
L'efficacia, quantitativa e qualitativa, di un intervento riabilitativo deve quindi mirare ad ottenere un aumento della forza muscolare, il mantenimento di una buona flessibilità ed elasticità articolare, la riduzione del dolore.
Il potenziamento della massa muscolare e quindi della forza, è una componente spesso ingiustamente trascurata nella terapia riabilitativa della osteoartrosi.
Analogamente una buona elasticità articolare previene il dolore, contrasta le deformazioni, ostacola le anchilosi.
Le indicazioni terapeutiche che si possono fornire tendono ad essere comuni in tutte le localizzazioni artrosiche e comprendono: terapie fisiche riabilitative e termali con acqua e fango salsobromoiodico.
La terapia fisica (fisioterapia) sfrutta mediante svariate strumentazioni, le applicazioni del calore applicato o indotto sulle articolazioni colpite, per indurre riduzione del dolore e migliore perfusione circolatoria. Molti soggetti artrosici trovano sollievo in ambiente caldo nell'esposizione al sole.
Il mare, come la piscina termale, può essere molto utile al paziente artrosico. Il semplice galleggiamento permette movimenti che sono preclusi ai soggetti senza sollecitazioni articolari e favorisce la tonificazione muscolare.
L'importanza della malattia artrosica sul piano sociale ed economico giustifica ampiamente il grande interesse verso nuove strategie terapeutiche farmacologiche e non, e riabilitative. È ipotizzabile che in futuro attraverso tecniche di biologia molecolare si possano anche attuare terapie geniche atte a prevenire o ad alleviare i sintomi caratteristici dell'osteoartrosi. Allo stato attuale, a fronte anche del costante invecchiamento della popolazione, non si possono assumere atteggiamenti attendistici e vanno usati tutti i mezzi in nostro possesso capaci di ridurre i sintomi per prevenire la disabilità da osteoartrosi nell'anziano. È in questa ottica che stanno trovando ampio spazio gli inibitori selettivi della COX-2, che ovviano almeno in parte agli innumerevoli inconvenienti legati all'assunzione cronica di FANS da parte del paziente anziano.
I recenti COX-2 hanno dimostrato elevata efficacia analgesica ed antinfiammatoria, con concomitante significativa riduzione dei numerosi effetti collaterali che gravavano l'uso dei FANS tradizionali, specie sul tratto gastrointestinale. Quindi i nuovi COX-2 sono farmaci adatti alla terapia dei disturbi gastrointestinali nel paziente anziano, che andrà sempre attuata tenendo conto dell'eventuale polifarmacoterapia e delle modificazioni farmacocinetiche età-correlate. È verosimile quindi che l'impiego dei COX-2, per la maggiore maneggevolezza, troveranno ampio spazio nella terapia sintomatica dei pazienti anziani affetti da malattia artrosica.
Un gruppo di pazienti europei si sono mobilitati nel mese di gennaio del 2001 sul tema dell'artrosi e di tutti gli altri reumatismi, patologie che colpiscono più di 103 milioni di Europei e una persona su dieci a livello mondiale, presentando ai Membri del Parlamento Europeo a Bruxelles un manifesto che sottolinea il fatto che nonostante un maggior numero di Europei conviva con questa patologia più che con altre malattie croniche, essa è rimasta molto indietro nell'agenda delle priorità delle politiche in materia di sanità e salute degli stati membri della Unione Europea.
Il Manifesto presenta una serie di sfide per i dirigenti, i fautori delle politiche, i sistemi sanitari, i servizi sociali e i datori di lavoro eletti. Esso evidenzia che si deve assicurare la migliore qualità della vita alle persone colpite da questa patologia ed anche porre attenzione ai costi socio-economici di questa condizione che con il passare degli anni può togliere l'autonomia.
L'associazione tra obesità ed artrosi è conosciuta sin dal 1939; recentemente, in uno studio su una popolazione urbana, è stata dimostrata la presenza di una maggiore incidenza di artrosi del ginocchio nei pazienti obesi, ed una incidenza doppia della patologia nelle donne rispetto agli uomini.
L'obesità è oggi riconosciuta non solo come il più importante fattore di rischio prevenibile e/o eliminabile per l'insorgenza di artrosi, specie a carico delle articolazioni portanti, ma anche un fattore favorente l'aggravamento della condizione.
È oggi inoltre chiaro che l'obesità ha un ruolo favorente non soltanto nei confronti della localizzazione dell'artrosi nelle sedi articolari sottoposte a carico quali anca, ginocchia, piedi e colonna vertebrale, specie nel tratto lombare, ma anche in articolazioni non portanti, quali le stemoclaveari, le interfalangee distali ecc.
A dispetto dell'interesse storico nell'associazione tra obesità ed artrosi, non è stato identificato un chiaro nesso causale in tale associazione, e sono stati proposti sia meccanismi meccanici che metabolici.
I meccanici spiegano soprattutto le artrosi delle articolazioni sottoposte a carico, lo stress meccanico dovuto al peso di per se sembra avere una maggior rilevanza rispetto alla localizzazione ed alla distribuzione del tessuto adiposo.
I meccanismi metabolici (iperuricemia, diabete, ipercolesterolemia, iper e ipotiroidismo) sono in rapporto tra alterazioni metaboliche del soggetto obeso ed una alterazione del metabolismo della cartilagine articolare che possa favorire il danno artrosico.
La obesità deve quindi considerarsi un fattore aggiuntivo, moltiplicatore di disabilità nei soggetti con artrosi e/o con dolore. Interventi di riduzione ponderale potrebbero avere una efficacia non solo nell'aumentare la mobilità nei pazienti anziani, ma anche nel ridurre il dolore e prevenire la disabilità.
È da considerare tuttavia che non solo l'eccesso di peso, ma anche la eccessiva riduzione, specialmente nei pazienti che hanno superato la soglia dei 65 anni, sono associati ad un rischio più elevato di disabilità, e che la perdita di massa muscolare ha un ruolo importante nel declino della funzione fisica di questi anziani.
Infine è necessario un accenno alle cure termali salsobromoiodiche che svolgono una azione benefica nelle malattie reumatiche e prevalentemente nell'artrosi attraverso un'azione antinfiammatoria, una riduzione del dolore e dello spasmo muscolare e un aumento delle difese immunitarie: inoltre in ambito neurologico diminuisce l'eccitabilità delle cellule nervose.
Effetti locali: influenza positiva sulla funzionalità articolare, migliorata vascolarizzazione e stimolazione sugli scambi metabolici sulla cartilagine, aumentata neoformazione e ridotto assorbimento osseo, migliorata vascolarizzazione e trofismo muscolare, incremento del liquido sinoviale, effetto sedativo sui test muscolo-tendinei.
Effetti generali: aumentata sudorazione, vasodilatazione cutanea, maggiore cessione di ossigeno ai tessuti, influenza sulle attività enzimatiche e sulla immissione in circolo di enzimi, diminuzione del livello ematico della creatinina, trigliceridi, cortisolo e fosfatasi alcalina. La durata della terapia è di 12 applicazioni di fango di tipo "maturo" per 15 minuti ad una temperatura di 37-38 gradi centigradi applicato nelle parti interessate e con un giorno di sospensione dopo la sesta seduta (in settima giornata). Il fango è rimosso allo scadere del tempo e ogni paziente viene sottoposto prima a doccia con acqua termale e successivamente a bagno termale alla temperatura di 30-31 gradi centigradi. I risultati che si ottengono, hanno confermato gli effetti curativi della fangobalneoterapia salsobromoiodica se ripetuta ogni 11- 12 mesi. Spesso l'artrosi vertebrale è associata alla osteoporosi e insieme possono accentuare ancora di più i dolori: è proprio la fangobalneoterapia che ha la proprietà di intervenire sulle varie strutture vertebrali quali il disco intervertebrale, i legamenti interapofisari e muscolotendinei, migliorando la microcircolazione sanguigna intorno all'osso e nell'osso e agendo sulle contratture dei muscoli paravertebrali e sulle rigidità articolari.
Le cure termali evidenziano gli effetti curativi della fangobalneoterapia salsobromoiodica nella osteoporosi e nell'artrosi; vi è un'azione benefica sul metabolismo e sul trofismo osseo, con scomparsa del dolore, miglioramento della funzionalità articolare, incremento della massa ossea rispetto ai valori di partenza, e la rigenerazione della cartilagine.
Per concludere, la fangobalneoterapia ha dato buoni risultati (70-80% di efficacia), riducendo il dolore e migliorando la mobilità articolare nella artrosi e osteoporosi vertebrale, nell'artrosi delle ginocchia, dell'anca, della mano, nelle distorsioni della caviglia, tendiniti, borsiti, allontanando, così, lo spettro della disabilità e della non autosufficienza purtroppo molto spesso presente negli ultra 75 enni.
Secondo la OMS che nel mese di maggio 2002 ha elaborato la nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF), l'artrosi e l'osteoporosi vengono interpretate come funzioni della mobilità delle articolazioni e delle ossa che devono essere interpretate attraverso una dialettica tra "modello medico " e modello sociale ". Il "modello medico" vede la disabilità come un problema della persona causato da malattie, traumi o altre condizioni di salute che necessitano di assistenza medica sotto forma di trattamento individuale da parte di professionisti. Tale assistenza è vista come la questione prioritaria, e a livello politico la risposta principale è quella di modificare o riformare politiche di assistenza sanitaria. Il "modello sociale " della disabilità, invece, vede la questione come un problema creato dalla società e, in primo luogo, nei termini di una piena integrazione degli individui nella società.
La disabilità non è la caratteristica di un individuo, ma piuttosto una complessa interazione di condizioni, molte delle quali sono create dall'ambiente sociale.
La questione riguarda gli atteggiamenti e le ideologie e richiede cambiamenti sociali; per questo modello le disabilità diventano, in breve, una questione politica.
L'ICF è basato, quindi, sulla integrazione di questi due modelli opposti e l'approccio utilizzato è di tipo "biopsicosociale", nel tentativo di arrivare a una sintesi in modo da fornire una prospettiva coerente delle diverse dimensioni della salute a livello biologico, individuale e sociale.

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